Il pensiero del Pontefice corse al Guglielmo, alla corona di monti dell’ anfiteatro prealpino, alla folla in preghiera davanti alla cappella.
Era poca cosa rispetto a quella che lo venerava in piazza San Pietro, ma quella folla era altra cosa, apparteneva alla sua infanzia, al mondo familiare dal quale il suo animo non si staccò mai.“All’ amore di mio padre e di mia madre, alla loro unione (perchè non si deve mai separare il padre dalla madre) devo l’ amore di Dio e l’amore degli uomini. O piuttosto l’amore di Dio che colmava i loro cuori e li aveva uniti nella giovinezza, si traduceva in mio padre nell’azione politica e in mia madre nel silenzio. O ancora una stessa volontà ostinata, una stessa determinazione totale in mio padre si esprimeva più come forza e in mia madre più come dolcezza. Ma la dolcezza riposa sulla forza” .
Sono molti i segni, i gesti, gli scritti che indicano l’affetto che il Papa mantenne con la terra dove era nato e dove trascorse gli anni dell’ infanzia.
“L’umile paese dove sono nato … ”
“Siamo ben convinti di dovere moltissimo all’ambiente umano, familiare e sociale che ci accolse, ci sorresse, ci guidò, accompagnando i nostri passi con la luce indicatrice di insegnamenti sapienti, con la forza tonificante di sentimenti magnanimi, con la testimonianza trascinatrice di esempi memorabili.
Il Papa rivide anche il volto della nonna nascosto dal velo nero. Gli mancava quel cuore generoso che da bambino gli aveva insegnato l’amore per Dio e per gli uomini.
“Carissima nonna, ieri ho pensato a te, quasi per sentirmi avvicinato dai tuoi sentimenti e dal tuo esempio allo spirito di quel Santo Francesco di Sales, così semplice e così grande. Nell’affidare a me la sua preziosa reliquia, come ricordo del mio primo ingresso all’ altare mi hai insegnato, come tu solo lo potevi, quali gli esempi, quale lo spirito mi devono rassomigliare a Colui che vuol essere rappresentato dal sacerdote. Tu mi hai fatto cominciare la vita sacerdotale ponendomi in mano la lampada della vita. L’avrò cara, per me, per coloro che forse il Signore vorrà con me far camminare verso di Lui” le scrisse il 30 gennaio 1921.
“Io amo, io amo, io amo, cara nonna ti amo” queste furono le prime parole che il piccolo Battista scrisse con calligrafia incerta sul quaderno a righe con il pennino imbevuto nell’inchiostro. Fogli interi per dire “io amo”, preludi grafici di un bambino che diventerà il Papa che fu profeta della civiltà dell’Amore.
“La civiltà dell’Amore prevarrà nell’ affanno delle implacabili lotte sociali, e darà al mondo la sognata trasfigurazione dell’ umanità finalmente cristiana … L’amore a cui alludiamo non è idillio piacevole, non è automatico scioglimento delle difficoltà, che il progresso stesso dell’umanità genera e inasprisce. E non è certamente orientato ad una lotta artificiosa e congenita con lo sviluppo dei fenomeni umani. Esso tende alla pace, tende alla fratellanza, alla civiltà “.
II 16 marzo dell’anno 1967 il Papa volle incontrare gli uomini che avevano lavorato alla ricostruzione della cappella al Redentore. Partirono tutti per la capitale: i generali e i piloti delle forze armate statunitensi che avevano guidato gli elicotteri nella spola quasi quotidiana da Marcheno fino alla cima del monte, i parrocci e i vescovi che avevano caldeggiato i lavori e i muratori che avevano ridato nuova forma al calcestruzzo cancellando i segni dell’usura. Portarono al Papa, oltre ad un piccolo monumento ricostruito secondo le regole della miniatura, la loro gioia per essere stati artefici di un’ opera a lui cara.
“La soddisfazione del Pontefice era palpabile. Strinse la mano a tutti, era felice, ci parlò del giorno dell’ inaugurazione, quando insieme al padre, al fratellino Lodovico e alla nonna Francesca fu testimone dell’ avvenimento” racconta Delfino Sina. “Ero piccolo, avevo cinque anni, mio fratello sei, ma ricordo bene la gente che arrivava da tutti i sentieri, in molti avevano camminato tutta la notte, mi sarei perso se non fossi stato sulle spalle di mio padre o preso per mano dalla nonna” .
La celebrazione della messa nella quale lui e Lodovico furono piccoli chierichetti, il rifugio Almici affollato di persone, la polenta fumante sulle tavolo, le malghe, il latte appena munto, la ricotta fresca tornarono alla sua mente con l’intensità che hanno solo certe emozioni particolari, quelle che lasciano segni indelebili. Segni che nemmeno la gloria del trono pontificio scalfì mai.
Dopo anni di abbandono, il monte Guglielmo è tornato a essere la meta degli escursionisti che amano assaporare le grandi distese alpine, il silenzio, il verde cupo dei boschi e quello smeraldino dei prati. La cappella con la sua croce a cinque punte è la loro meta. La si vede da lontano se il sole splende, la si cerca nella nebbia quale bussola per orientarsi e ritrovare il sentiero che porta a valle. “Ecco il Redentore, siamo arrivati” . E torna la lena, anche nelle gambe più stanche.