4 ottobre 1998. La statua di Paolo VI benedice già da una settimana le genti dall’alto del monte Guglielmo.
Il giorno dell’inaugurazione ufficiale del monumento al Pontefice bresciano, accolto da grande entusiasmo collettivo, il cielo é terribilmente grigio, ma una lunga fila di uomini, donne e bambini di ogni età, ben imbaccuccati nelle giacche a vento – l’organizzazione aveva raccomandato a viva voce di vestirsi come conviene alle alte quote – si inerpica lungo i sentieri della montagna.
Gli elicotteri fanno la spola per qualche ora, poi fermano il loro volo a causa dalla fitta nebbia, ma la gente continua a salire a piedi, non curante della pioggia che nella tarda mattinata comincia a bagnare giacche a vento e scarponi. Fa molto freddo, in molti si assiepano nel rifugio Almici, ma un folto numero di fedeli non vuole perdere la Messa, vuole vedere la statua del Papa e continua a salire fino al Redentore.
Nemmeno il vescovo Bruno Foresti si fa vincere dal maltempo: affronta freddo, pioggia e neve e sale fino alla cappella per celebrare la Messa, cerca solo di essere il più breve possibile.
Quanti sono stati spinti, pur in una giornata piovosa e fredda, a salire verso la Montagna del Papa, attratti da una statua in bronzo dedicata a Paolo VI? Duemila, forse più. Da lassù, quel giorno, lo sguardo non si poteva beare della bellezza della corona di monti e nemmeno del celeste del lago di Iseo, non poteva vagare negli spazi infiniti, imprigionato com’era nella fitta nebbia. Era solo l’anima a bearsi dell’ineffabile mistero della fede, era l’anima che andava a cercare nella fitta nebbia quel Dio che dà senso alla vita e alla morte.